martedì 30 giugno 2015

Di corpi callosi e cuori a più mani

Qualche anno fa, tra le pagine di un libro sfogliato a casaccio, in biblioteca, ho letto che il corpo calloso - il "ponte" che unisce i due emisferi cerebrali - sarebbe più sviluppato nelle donne che negli uomini.
Questo particolare tratto fisiologico ci renderebbe capaci di fare molte cose contemporaneamente.
Qualora fosse vero, mi piace pensare, tuttavia, che il corpo calloso delle donne sia nel cuore, invece che nella testa, e serva a mettere in comunicazione il ventricolo destro con il ventricolo sinistro.
Perché dove un uomo ragiona per compartimenti stagni - scegliendo la carriera, o l'amore, o semplicemente sé stesso, a seconda delle circostanze - il cuore di una donna ha mille mani. Per tenere più salda la presa. Per accarezzare più volte. Per costruire più ponti che muri. Per amare e lottare più forte di tutti.
Per questo, quando una donna decide di aprire le mani e lasciar andare, va via tanto, va via troppo. Non resta nulla.



Antonia Storace

mercoledì 24 giugno 2015

La pesca dell'oca

Ci sono storie dopo le quali dobbiamo decidere se diventare fantasmi, ed alimentare la fitta schiera di impalpabili spettri che popola il passato di molti, o tornare ad essere persone, con tutto il carico di forza, risolutezza e coraggio che una scelta come questa implica.
I tradimenti sono pugnalate nel costato. Mosaici di dolore, sfiducia e disamore che non smetti mai di ricostruire interamente. Viene fuori sempre un nuovo tassello, l'ennesimo macabro particolare della capacità, che alcuni hanno, di mentire, innalzando altari laici sui quali sacrificano gli scheletri della fiducia e del buon cuore. Quando ascolto le storie delle mie amiche, e provo a contenerne il dolore con le mani, lo vedo scivolarmi via. E' dolore liquido. Impossibile da trattenere. Riempie le crepe, si insinua nei solchi, diventa sete di vendetta, voglia di rivalsa e di giustizia: perché a certi stronzi bisogna rovinare la piazza, così che non possano più mietere vittime e ignare conquiste destinate al patibolo delle corna.
Ieri sera, parlando con una di loro, mi sono venute in mente le feste di paese e le bancarelle con le attrazioni ambulanti. Ce n'è una, in particolare, che non mi esce dalla testa: la pesca dell'oca.
Ecco, a volte penso che certi uomini - e dico certi, non tutti. E ribadisco categoricamente: certi, non tutti - siano le pennute oche di plastica col culo scoperto, che girano eternamente in tondo, nel loro laghetto artificiale. E noi donne - e dico certe, non tutte. E ribadisco categoricamente: certe, non tutte - siamo il braccio meccanico che le pesca.
Dopo aver acchiappato l'oca di plastica, la guardiamo, registriamo il suo punteggio numerico e, se il premio che vi corrisponde non ci piace, la rimettiamo allegramente nella giostrina d'acqua, insieme alle altre oche di plastica con il culo per aria. Perché è questo che dovrebbe accadere dopo un tradimento. Se hai pescato un amore tarocco, e te ne sei accorta, non ci stanno santi: lo devi rimettere nel mazzo degli amori tarocchi. E andare oltre.
C'è chi, nella vita, è destinato ad essere oca, e chi ad essere braccio. I primi nuoteranno sempre nel perimetro infelice e sicuro delle loro bacinelle. I secondi, faranno forti i muscoli della ripartenza, e preferiranno il mare aperto.


Antonia Storace

giovedì 18 giugno 2015

Scarpe grandi e materne malinconie

"La sindrome delle scarpe spaiate". Oppure: "Come sembrare un clown in poche, semplici mosse". Ed ancora: "Quando un atto di maleducazione può salvarti da un'imperitura figuraccia".

Si, perché se questa mattina non avessi poggiato i piedi sul cruscotto dell'auto, mentre Valerio guidava, non me ne sarei mai accorta.
Qualche settimana fa, ho visto, nella vetrina di un negozio, un paio di scarpe di tela. Di quelle basse, con i lacci, e minuscoli fiorellini di campo stampati qua e là. Deliziose. Ho misurato il 37 destro e, poiché andava bene, le ho comprate. E le ho pure indossate. Le ho indossate spesso, in questi giorni. Erano comode, leggere, semplici da abbinare, specie per una come me, che si tuffa alla cieca nell'armadio. Poi, questa mattina, nel traffico cittadino di una Roma agghindata a vento di scirocco, la tragica scoperta. I piedi, appaiati sul cruscotto della Fiat Punto, apparivano visibilmente diversi: la scarpa sinistra misurava 40, invece di 37. Ed io ci sono andata in giro, conciata in questa maniera barbina, senza accorgermi assolutamente di nulla.

E' stato in quel momento che mi è venuta in mente mia madre. Ed una fitta di dolorosa nostalgia mi ha spezzato il fiato.
Da quando abito a Roma, non ho più modo di ascoltarne, quotidianamente, le raccomandazioni. E, sebbene mai l'avrei creduto possibile, mi mancano. Come solo le cose importanti sanno fare.
Perché puoi vivere in tutte le città più fighe del mondo, provare a renderti autonoma, indipendente, culturalmente emancipata, mentre costruisci due o tre sogni. Ma quel: "Hai controllato che siano entrambe dello stesso numero?" non si batte.
Questo fanno, le mamme. Si assicurano che i tuoi passi siano saldi. Poi aprono le mani, lasciano che tu scopra la tua strada, e pregano affinché le buche della vita non scollino le suole. Questo sono, le mamme. Calzolai dell'anima. E del futuro.

Antonia Storace

lunedì 15 giugno 2015

Puzzle e cornici

Se ami profondamente qualcuno, fai tue alcune delle sue abitudini. Succede spontaneamente, senza preavviso, senza assunzione di consapevolezza.

Quando ero bambina, adoravo i puzzle. Rappresentavano un arguto esercizio di pazienza che non ho mai imparato del tutto.
Da qualche tempo, anche Valerio ha cominciato ad interessarsene. Tuttavia, mentre io adotto la famosa tecnica "a casaccio" - partendo da un punto imprecisato del centro, con i primi due pezzi che si incastrano a culo - lui è assai più metodico, ed inizia sempre dai bordi: cerca tutti i tasselli con il lato chiuso, così da comporre progressivamente la cornice, prima del suo contenuto. E' un sistema certamente più sensato, logico ed immediato rispetto al mio.
Seduti intorno al tavolo della sala da pranzo, con la proiezione astratta di un disegno scomposto sopra il legno scuro, le nostre umane differenze emergono, silenziose ed implacabili: il mio vivere di pancia, la mia totale assenza di diplomazia, e la sua riservatezza così british, quell'amabile educazione con cui tocca la vita e le sue storie. Il giorno e la notte, per dirla come farebbero tutti. Dalla cui unione nascono albe e tramonti che tracciano futuristiche linee d'orizzonte. E questo non tutti lo dicono perché non tutti lo sanno.

E' stato Valerio, non io, a costruire il perimetro della dorata cornice dentro la quale la nostra storia è sbocciata. Ha protetto il seme di ciò che stava nascendo prima ancora che diventasse fiore: ha sempre avuto più intuito di me.
Perciò, se un giorno, tra noi, dovesse finire, io comincerei a fare i puzzle cercando tutti i pezzi col bordo chiuso.

Antonia Storace

lunedì 8 giugno 2015

Una bicicletta rosa e tutto passa

Siamo state tutte la bambina paffuta sulla bicicletta rosa.
Avevamo le rotelle in aggiunta, ai lati; le scarpette di vernice rossa; una mano adulta a bilanciare la falcata.
Avevamo il sorriso facile; le buche nell'asfalto; il bacino sulla bua e tutto passa. Questo avevamo, prima di avere ogni altra cosa. Il "tutto passa". E passava davvero. Senza lasciare traccia.
Dopo le cadute, potevamo restare a terra e piangere liberamente, fuori giudizio e fuori tempo. Sarebbero poi arrivate due braccia di madre, o di padre, a tirarci su, a dirci: "Tutto passa".

Oggi, invece, abbiamo le gomme del cuore un po' sgonfie, un tacco dodici che stiletta arcigno sopra il pedale, e due freni tarocchi.
La falcata si è fatta più decisa, ma non c'è mano che possa orientarne il tratto, all'infuori della nostra. Siamo cresciute e il "tutto passa" è diventato "a dispetto di tutto". Come se a quel tutto che ha smesso di passare senza lasciar traccia, volessimo fare dispetto. Perché a terra, dopo le cadute, non ci possiamo più rimanere. Il mondo ci vuole in piedi, dritte e tese come fusi. In tempi brevi e con gli occhi asciutti. E noi, che siamo bravi soldatini laboriosi, non disattendiamo mai gli ordini. Però, ogni tanto, quella bambina paffuta sulla bicicletta rosa ci manca un sacco.
Antonia Storace

mercoledì 3 giugno 2015

Punto tutto sul 29

Ventinove anni sono un numero strano da portarsi addosso. Potresti ancora tornare indietro, ma non lo fai. Dovresti andare avanti, e ti accorgi di non aver paura.
Ventinove anni sono un numero strano da portarsi appresso. Come una sacca che comincia a farsi pesante di vita presa a due mani.
Credo che nulla mi abbia fatta grande, all'anagrafe e nel cuore, quanto avere Valerio accanto, e quell'intelligenza sottilissima, data in dotazione a pochi soltanto, di restarmi dietro di un passo, quando è necessario. Poiché quel passo, quell'unico passo, invece che essere svilente, lo eleva al di sopra di un manipolo di uomini corrotti ed insicuri, e gli permette di guardarmi le spalle, di proteggermi da me stessa, e dalle mie umane debolezze, come solo l'amore quando è amore sa fare.

A ciascuna di noi è toccato, presto o tardi, un tizio complessato, emotivamente indisponibile, bugiardo e bipolare, che ha provato a rimpicciolirci, a ridimensionarci lo spirito e i sogni, poiché lui stesso non sapeva concepirne di grandi. E noi gli abbiamo creduto. Ci siamo dette che era meglio vivere una vita a basso profilo, senza grossi rischi, senza troppi scossoni. Una vita rosa pallido, un mare piallato di ambizioni strozzate ed emozioni col settanta per cento di sconto. Un futuro in saldo, quando, dopo la ressa iniziale, restano solo gli ultimi capi sgualciti di cui accontentarsi. Ma quelli che ci vogliono piccole, sono gli stessi che si sentono piccoli, e perciò provano ad addomesticarci. Per le donne sopra la media, ci vogliono uomini sopra la media. Non ci stanno santi. Non esistono eccezioni.