mercoledì 29 gennaio 2014

V per vittoria

E così, alla fine, mi ero rimessa in piedi. Col fiato corto, e su gambe non ancora interamente stabili. Ma in piedi. Era successo il giorno in cui avevo smesso di aspettarmi qualcosa da lui. Lo stesso giorno in cui avevo smesso di sperare che le sorti di quell'amore potessero cambiare. In ultimo, semplicemente, ero cambiata io. Ma non cambiata del tipo: "con i sentimenti ho chiuso"; "sarei voluta ...nascere stronza"; "d'ora in avanti, calci in culo a profusione". Nulla di tutto questo. Niente scuse da perdenti. E neppure avevo smesso di amarlo. Al contrario, ero orgogliosa di quel mio cuore malandato che - a dispetto di ogni colpo, e della sua eco di ritorno - aveva tenuto duro e, in futuro, si sarebbe innamorato ancora. Così, almeno, mi piaceva pensare. Il mio cambiamento era stato più sottile, più profondo, a tratti persino più cattivo: mi ero ricordata della donna che ero e di quella, certamente più bella, che un giorno sarei diventata. Quella donna non avrebbe permesso ad un uomo - neppure fosse stato sua padre, o Gesù Cristo in terra - di trattarla come il giocattolo d'infanzia che sempre ti è caro, ma dal quale torni solo dopo aver provato l'intero reparto "da 0 a 7 anni: giochi da tavolo per menti disimpegnate". La donna che ero sperava - tra qualche tempo, quando fosse stata un po' più grande - di diventare mamma. Se avesse avuto un figlio maschio, lo avrebbe chiamato Riccardo, come l'antico Re Cuor di Leone. Nomen Omen, dicevano i latini. Il destino nel nome. E a quel figlio, dal nome coraggioso, avrebbe insegnato l'educato amore per le donne: l'amore che non fa capricci, non cambia luna, non s'arrende al disincanto, alla tristezza e al suo passato, non molla al primo ostacolo, non da' nulla per scontato. L'amore che insiste anche quando crede di essere giunto al capolinea, poiché l'ultimo tentativo è sempre il penultimo. Quella donna ripensò a suo padre quando, una sera di otto anni prima, le disse: << Trova un uomo che sia forte, ed intelligente, quanto te. Oppure abbracciati la croce, e rassegnati all'idea di restare sola per sempre. Sono i fatti a qualificare le persone. Non le parole. Le parole incantano, ed ingannano. I fatti rivelano e dimostrano. Guarda quelli e, se non ti convincono, punta i piedi. Punta i piedi e non cedere di un millimetro >>. La donna che ero rivendicava il suo sacrosanto diritto a spezzare la proverbiale corda troppo a lungo tirata e, sebbene sentisse ancora certe mancanze, ripensava alla prima volta in cui s'accorse di non avere alcuna voglia di ascoltare ciò che lui intendeva dirle, certa che le sole parole capaci davvero di cambiare la partita - "Ti amo. Voglio stare con Te" - non le avrebbe udite mai. E poiché qualunque altra frase, diversa da quella, non le interessava, scelse di provare seriamente ad andare avanti. Prese tutte le cene che insieme non avevano fatto, e ci portò le sue amiche. Le annaffiò col vino rosso - rigorosamente toscano - la prospettiva di un sogno, e quella voglia di rivalsa che fa' di una donna, sia pure alta appena 1 e 60, un gigante armato. La donna che ero imparava di nuovo a dormire. Certe notti contava le pecore, certe altre le stelle, tenute su da fili invisibili. C'erano notti in cui contava i libri che aveva letto, i libri che avrebbe voluto leggere, quelli che presto avrebbe corretto come Editor, i passi in avanti che avrebbe compiuto. Così, sfinita, si addormentava. Quando i pensieri si facevano spilli appuntiti, sotto i cuscini, la svegliava il suono delle sue stesse urla. Ma, con pazienza certosina, lei li avrebbe smontati uno per uno. Quella donna osservava silenziosamente le sue amiche, e la personale battaglia che ciascuna stava combattendo: contro l'ingannevole convinzione di non essere abbastanza, un lavoro che tardava ad arrivare, un amore bugiardo svanito nel nulla, la distanza che complica le cose, le coperte tirate fin sopra la testa, ed un passato ingombrante che lascia segni sulle mani. Ripensava a quanto erano belle, e a quanto poco se ne rendessero conto: esempi di coraggio, tenacia, determinazione, e non arrendevolezza. Le sue Rose di Atacama. La donna che ero è la donna che ancora sono. C'è stato un tempo in cui l'ho scordato. Per fortuna, ho fatto un corso di tecniche di memoria.

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lunedì 20 gennaio 2014

Invitami a colazione

Io, con un uomo, voglio poterci fare colazione. Prima del cinema e della passeggiata a cercarsi le mani; della cena formale o della pizza al taglio; prima del primo bacio, e prima pure del sesso. Voglio un uomo che mi chieda di fare colazione insieme. Così, per vedere come inizia ogni sua giornata, quando il sonno ancora gli stropiccia la faccia e gli occhiali scuri nascondono le sue notti stanche. Voglio capire se è uno da caffé forte, o se invece lo annacqua col latte; se il cappuccino lo manda giù liscio, oppure lo preferisce schiumato - a disegnarsi baffi bianchi intorno alla bocca, in una pioneristica visione dei suoi primi ottant'anni. Voglio vederlo ordinare un cornetto vuoto, sposare la marmellata col burro, sentirgli dire che ama quella d'arancia: così, poi, io amerei lui. Voglio vedere se mi riscalda la nastrina nel forno, e non si scorda di levare via i granelli di zucchero che poco mi piacciono. Se, con le mani, mi pulisce le briciole agli angoli delle labbra, o se invece le lecca via con un bacio. Se mi siede accanto, oppure di fronte. Se ama il sesso mattutino. Se, al contrario, è figlio di un pudore antico, e certe cose le fa solo col buio complice della notte. Mi piacerebbe capire se è un tradizionalista da torta di mele, azzarda tisane improbabili, mangia lento e senza scuse, legge il giornale, ascolta la radio, resta in silenzio, e mi tiene con la testa sopra la sua spalla. Voglio farci colazione con un uomo: dal modo in cui accoglie ogni giorno che nasce, si intuisce come accoglie la Vita.

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venerdì 3 gennaio 2014

365

Trecentosessantacinque giorni, lentamente, sullo sfondo, in dissolvenza. Trecentosessantacinque giorni, e sentirli tutti. Forse pure qualcuno in più. Veronica al binario 1, l'abbraccio di Simona ed i suoi fulgidi capelli rossi, i porticati di Bologna - a cui spesso torno col pensiero, presto con in mano una valigia. I giorni di Pasqua. Quando ho scoperto che l'uomo che amavo aveva un'altra. Gli stessi in cui ho conosciuto Maria Rosaria. Quasi che la Vita volesse saldare il debito, pareggiare i conti. Gesù Cristo è morto, e risorto, in tre giorni. A me, è servito un anno per intero - con tutti i suoi tramonti, e ciascuna delle sue albe. Ma lui è il Figlio di Dio: parte con un discreto vantaggio, echecazzo!! La storia di una festa a sorpresa, di una vacanza che è stata il primo salto della fiducia - mentre, in auto, Jovanotti cantava: "Io penso positivo, perché son vivo, finché son vivo", ed un paio di occhi azzurri mi si incastravano dentro, tra quattro parole in italiano, mezza in inglese, ed un numero imprecisato di dolcissimi sorrisi imbarazzati: universal language of angels. La storia di una pulce ammaestrata, di un pendolo che oscilla, di un'Aquila che si impegna a meritare il suo posto in mezzo ad altre Aquile. La storia dei respiri consapevoli, della paura come indicatore - poiché ciò che temiamo è esattamente ciò che ci qualifica - del rancore, tristemente somigliante ad un guinzaglio, e del perdono - che comprende, senza per forza giustificare - così da liberare noi stessi, e gli altri: niente ci fa grandi come il coraggio di aprire le mani, e lasciar andare. La storia di un Natale che arriva con tre giorni di ritardo, sul calendario dell'intendere comune; di una cena che si è fatta gioco di squadra; di un trovatello a quattro zampe, che ora mi dorme accanto: la mia carezza del mattino. La storia dell'ultima notte dell'anno, e di una chiacchierata - lunga, inattesa e bellissima - cominciata col buio più pesto, fino al chiarore della primogenita alba. La storia di un gabbiano. Nell'attimo in cui punta le zampe sugli scogli, e si da lo slancio per volare. Esistono mille anni nuovi dentro un anno vecchio. Ricominciamo molte volte. Nel cuore di un giorno qualunque. Quando torniamo ad amare, rischiamo il certo per l'incerto, ed un sorriso ci sorprende in mezzo al pianto. Quando lasciamo i sentimenti piccoli alle persone piccole, per noi teniamo la verità che non cerca scuse e, così, impariamo a fare fesso il dolore. Quando cambiamo taglio di capelli, e ci sentiamo belle, dentro un abito nuovo, anche se all'orzo in tazza grande, con acqua calda a parte, preferiamo caffè nero bollente - che farà pure venire le rughe, ma almeno non ci fa sembrare frigide come Nostra Signora delle Nevi - non abbiamo due occhi verdi da esibire, lo stacco di coscia di Julia Roberts, o una coroncina da reginetta di bellezza arrivata seconda: che i secondi sono i primi degli ultimi, e qualcuno dovrebbe ricordarselo. Ricominciamo quando ci dice "grazie" un'amica; quando capiamo di averne ancora molta di strada da fare - questo si - ma quella che muove nella direzione di un sogno più alto; quando il disamore degli altri non ha più il potere di farci sentire piccoli, e troviamo il coraggio di correre da, e con chi, davvero vorremmo ci camminasse affianco. Ricominciamo molte volte. Nel cuore di un giorno qualunque. Quasi mai il primo Gennaio.

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